Con un po’ di tristezza e un senso di (futura) nostalgia siamo giunti all’ultima puntata dell’Alfabeto di Laborsport.com, l’iniziativa che dal primo dicembre ci ha accompagnato ai giorni che danno il benvenuto alle feste.
Prima di parlarvi del nostro protagonista di oggi, lasciateci ringraziarvi per gli apprezzamenti che ci avete rivolto, i consigli che ci avete dato e la spinta in più a fare sempre meglio. Il risultato è sicuramente soddisfacente e a chi ci ha chiesto se lo riproporremo rispondiamo affermativamente.
Z come… Zdenek Zeman. Tra tutti gli allenatori conosciuti durante tutti questi anni, due mi accompagneranno per tutta la vita. Della stima nei confronti di Giuseppe Scienza ve ne ho già parlato, di quella per Zeman non ancora, ma lo faccio ora.
Chi ama il calcio Zeman lo conosce di sicuro. Tutti avranno sicuramente sentito parlare dell’impresa compiuta dal ‘boemo’ con il “Foggia dei miracoli”, la famosa “Zemanlandia”. A chi non ha mai sentito questa parola consigliamo la visione del documentario con l’omonimo nome di Giuseppe Sansonna.
Dopo averlo seguito a Pescara e a Roma con il mitico 4-3-3 zemaniano, mi si presenta l’occasione di vederlo quasi quotidianamente a distanza ravvicinata. La chiamata per allenare il Lugano, lo ammetto, mi fece fare i salti di gioia. Così, insieme a un mio amico altrettanto innamorato del credo calcistico di ZZ, presi la macchina e con il sorriso stampato in faccia mi presentai alla conferenza stampa di presentazione. Privilegi di praticare un mestiere come questo…
In silenzio ammirai il boemo che, con la sua solita voce rauca e inconfondibile, si presentò alla stampa ticinese parlando di progetti, futuro, passato e di come quel Lugano dovesse salvarsi in Super League. Lasciai che fossero i colleghi più esperti e scafati a “intervistare” Zeman, rimanendo timidamente ad ascoltare le parole di chi, solo qualche anno prima, allenava un mostro sacro come Francesco Totti.
Poi, una volta conclusa la conferenza stampa, Zdenek si avviò verso il ristorante. Non prima però di essersi fumato la sua sigaretta. Fu lì che, un po’ per rompere il muro dell’imbarazzo e dell’emozione e un po’ per scommessa, gli chiesi se poteva gentilmente offrirmene una. “Non prenderci l’abitudine, che qui in Svizzera costano”, disse sorridendo come mai l’avevo visto.
Fu così che scoprii che anche gli uomini di ghiaccio come il boemo, in fondo in fondo, sanno rivelarsi persone disponibili e dall’animo gentile…