Riflettere. Solo questo dobbiamo fare dinnanzi all’ennesimo episodio di violenza e razzismo verificatosi ieri a Milano, prima e durante la partita di Serie A tra Inter e Napoli.
Guerriglie tra tifosi, cori che inneggiano all’eruzione del Vesuvio e ululati razzisti nei confronti di un giocatore (e che giocatore) di colore. In certi casi si dice che poteva scapparci il morto. Ieri non è stato così. Ieri il morto ci è scappato per davvero. E poco importa della fede calcistica. Dinnanzi alla vita, il dono più prezioso regalato a ognuno di noi, non c’è fede che tenga.
Una rissa in Viale Novara tra supporter dell’Inter e tra quelli napoletani è costata la vita a un 35enne italiano, investito da un van di tifosi partenopei prima del match.
A questo grave episodio si aggiungono una serie di accoltellamenti che, fortunatamente, non sono sfociati in altri casi di cronaca nera. Inoltre, quanto verificatosi all’interno di San Siro è qualcosa di inammissibile nel 2018. Roba da medioevo. Roba che trascende dal mero risultato di un big-match valido per tre ‘semplici’ punti.
Allo stadio non si va a morire. Allo stadio non si va per ricoprire di “Uhuhuh” un giocatore proveniente da un’altra nazione. Allo stadio si va a tifare la squadra del cuore o godersi il semplice gioco del calcio. Allo stadio si va per abbandonare per 90’ la frenetica routine quotidiana che ci toglie il tempo per fermarci a riflettere. Riflettere sul fatto che se non cambiamo noi esseri umani, difficilmente potrà cambiare il nostro amato sport.
RV