*Di Riccardo Vassalli
“Fermiamoci, questo non è il nostro calcio”. È quanto chiede, in sintesi, il Maroggia tramite una lettera inoltrata a tutte le società per creare un coro comune, farsi ascoltare da una Federazione che, ovviamente e comprensibilmente, naviga a vista, cammina a tentoni e talvolta brancola nel buio.
Normale. Nessuna critica alle autorità competenti, nessuno pregiudizio verso chi ha tentato e sta tentando in ogni modo di ripartire per ridarci il nostro calcio regionale, salvo poi dover affrontare la realtà, anche imprevista — da tutti — di questi giorni complicati e difficili fatti di contagi alle stelle e squadre in quarentena con conseguenti rinvii delle sfide del calcio ticinese.
E ora ci troviamo di fronte al più grande quesito di tutte le squadre, già nell’ombra da inizio estate: “per quanto si andrà avanti?”. Ma la domanda opportuna sarebbe: “Quanto ancora è tollerabile questa situazione?”. Non c’è giusto e non c’è sbagliato. La verità è che ci sono punti di vista differenti, mossi anche da naturali interessi di classifica in caso di sospensione del campionato. Come accaduto la scorsa stagione quando si è arrivati allo stop, ci potrà essere chi gode e chi piange. L’impressione, va detto, è che in casa FTC si stia facendo il possibile per arrivare almeno al famigerato 50% delle partite giocate per validare la classifica, come prevede il regolamento. Ma la strada che porta a questo mini “traguardo” è ancora lunga e tortuosa perché parliamo, dati alla mano, di un mese e mezzo di calcio e, vista e considerata la situazione epidemiologica, la luce in fondo al tunnel è assai lontana.
Tornare a uno stato di quiete è poco probabile e forse impossibile. Sono i punti di vista delle singole persone a determinare pro e contro di continuare o meno un campionato atipico. Una cosa, però, va detta anche se forse andrebbe urlata. Lo ripetiamo, non esiste giusto o sbagliato: ma se come è nobile l’intento di chinarsi sulla problematica coronavirus è altrettanto nobile chi con fatica e impegno prova a regalare un pizzico di normalità in un contesto storico che di normale ha ben poco.
E ha ragione anche chi chiede che prima del calcio venga fermata o sospesa ogni forma di assembramenti. Perché, d’accordo, nessuno vive di calcio regionale, ma non è giusto nemmeno etichettarci come untori e problema di un Cantone che vive gli stessi problemi da Chiasso ad Airolo. Prima di “chiudere” il calcio, cominciamo ad evitare affollamenti nei vagoni dei treni, sui bus, alle stazioni.
Fermarsi o non fermarsi? È questo il dilemma, che non spetta a noi chiarire. Una cosa è certa: prima di fermarsi si prenda in considerazione qualsiasi tipo di spunto di riflessione, come il fatto che “rinviare” una decisione a marzo, una volta superato l’inverno, non sarebbe una cattiva idea…