Piangeva anche il cielo quel 23 gennaio scorso. La pioggia scandiva il tambureggiare del tempo, ormai sbiadito e ricco di insidie. Gli ombrelli riparavano gli occhi già umidi di una decina di tifosi che al capezzale del Chiasso volevano essere presenti. Sapevano a cosa andavano incontro, ma al cuore non si comanda. E se l’amore avesse un nome, non di distaccherebbe troppo da immagine e somiglianza dei fedelissimi rossoblù.
Il pretore di Mendrisio Sud Matteo Salvadè ha pronunciato quella frase abbastanza in fretta. Perentorio sì, ma dispiaciuto e imbarazzato. Ne avrebbe fatto a meno, sicuramente. Dalla sua bocca è uscita l’affermazione più triste di una storia secolare. “Dichiaro il Chiasso ufficialmente fallito”. Inevitabile, a fronte di premesse e promesse mai mantenute di una nuova società che fin dal suo insediamento ha suscitato più di una perplessità. “Fiumi di parole non credibili”, ha detto in aula il pretore. La credibilità, all’ombra del Penz, si era già persa da un po’. Lo sapevano tutti e tutti (eccetto chi ha combattuto indefessamente per fare emergere le verità) sono stati messi a tacere, inseriti nella black list dei dirigenti o, semplicemente, fatti nauseare per sfinimento da una piazza che da alcuni anni ha smesso di essere sé stessa.
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